Gli argenti del tesoro di San Gennaro sono parte imprescindibile di quella grande narrazione di arte e fede che trova dimora nella cappella reale. Basti pensare che i candelieri settecenteschi che troneggiano di fronte all’altare maggiore, i cosiddetti Splendori, furono forgiati grazie alle donazioni dei devoti, ricchi e poveri che fossero. Per pagare i quattro quintali di argento necessari, Carlo Borbone donò 2000 ducati ma al suo fianco si raccolsero le forze di tantissimi altri piccoli donatori.
Oltre a questi e al leggendario busto di San Gennaro, vale la pena parlare anche delle quasi cinquanta sculture e statue dei santi compatroni: le 19 sculture in bronzo, a figura intera, sono i Santi compatroni e in corrispondenza di ognuna di esse, vi sono busti in argento che portano sul petto una reliquia: una milizia sovrannaturale di 54 santi. Tra il ‘600 e il ‘700, in città erano attivi oltre 300 laboratori orafi che lavoravano il 70% dell’argento europeo. La richiesta era alta e i diversi laboratori iniziarono ben presto a competere, mettendo in campo le migliori competenze sulla piazza. Si arrivò addirittura a formare delle squadre d’eccellenza, così diremmo oggi, con il miglior pittore a realizzare il bozzetto, il migliore scultore a tradurlo in calco e infine l’orafo, un artista a tutto tondo, che trasformava la loro visione in un tesoro.
Un sistema virtuoso che affondava le proprie radici nel passato. Era il 1305 quando Carlo II d’Angiò, per festeggiare i 1000 anni dalla decapitazione del Santo, donò il primo busto-reliquiario della collezione, quello di San Gennaro. Alla corte angioina arrivarono tre orafi provenzali e la loro presenza diede un tale impulso alla scuola locale, che solo qualche decennio dopo, Giovanna I d’Angiò ufficializzava la nascita della corporazione degli orafi napoletani, mettendo le basi per quella tradizione locale di cui il tesoro di San Gennaro è la massima rappresentazione.
Il busto-reliquiario di San Gennaro